Lettera Giugno 2023
Carissimi,
all’inizio di questo mese abbiamo accolto con gioia l’annuncio della Visita Pastorale per tutta la Diocesi da parte del nostro Arcivescovo, dal tema: “Un tesoro in vasi di creta” (2Cor 4,7).
L’invito rivolto a tutti è quello di leggere sul Web il messaggio di Monsignor Accolla, nel quale il presule pone l’accento su due elementi fondanti: la grazia di Dio (il tesoro) e il vaso di creta (la nostra debolezza). Ed è proprio dal tema di suddetta Visita Pastorale che trae spunto la mia riflessione per la lettera di questo mese di Giugno, benedicendo con voi il Signore per la nostra fragilità umana.
Il primo riferimento biblico per esporre tale argomento non può non essere la pagina delle tentazioni del Vangelo di Matteo (4, 1-11), pagina nella quale scopriamo l’umanità del Figlio di Dio e la nostra. In questa sede non farò diretto riferimento al racconto evangelico, perché suppongo che tutti lo conoscano. Il focus della mia analisi verterà principalmente sulla sezione conclusiva:
Gesù è uscito vincitore e lo ha fatto per tutti noi.
S. Paolo, a commento di quanto avvenuto nel deserto, scrive: “Dio è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, assieme alla tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere” (1Cor 10, 13b).
Gesù non ha permesso che le tenebre lo sovrastassero. Era ben cosciente della sua “nudità” e della sua povertà, ma ha rifiutato tutti gli argomenti della sua umana fragilità per mettere in dubbio la sua identità di Figlio di Dio.
Nella tentazione Gesù ha avuto fiducia ed è rimasto umile e paziente, attitudini – queste ultime- della sua fragilità umana. Ciò che è incompatibile con la sua natura di Figlio di Dio non sarebbe tanto il ritrovarsi fragile e indigente, quanto il non vivere l’amore di Dio, non credere alla sua parola: “Questi è il Figlio mio, l’Amato, in Lui ho posto il mio compiacimento” (Mt 3,17).
Il motivo per cui ho citato la pagina delle tentazioni è da ricercare nel fatto che questo racconto offre il privilegio inaudito di conoscere a fondo il cuore di Gesù.
Mentre il battesimo rivela che lo Spirito Santo può dimorare per sempre su un essere umano, la prova del deserto mostra come Gesù assuma la nostra condizione umana.
Tramite le sue prove, Egli ha sposato realmente la nostra vita, affinché ogni nostra esistenza possa trovare senso e guarigione. È per noi che Gesù ha attraversato la prova del deserto, rimanendo unito a Dio, essendo così fragile come noi. Così ha amato la nostra condizione umana.
Gregorio Nazianzeno, un padre della Chiesa del IV sec., ci offre questa formula eccezionale:
“Ciò che non è stato assunto, non può essere guarito, ma ciò che è unito a Dio è pure salvato” (Lettera 101,32).
L’intervento del vescovo di Nazianzo aveva come sfondo la problematica dell’umanità del Figlio di Dio. A differenza di Apollinare, vescovo di Laodicea, il Nazianzeno afferma che se Cristo non ha la capacità umana di fare scelte, allora la nostra libertà umana resta fuori dalla comunione con Dio, resta abbandonata a se stessa, prigioniera di sé medesima e non guarita.
In un linguaggio meno concettuale ma non meno suggestivo, questa intuizione è ben chiara nel racconto delle prove di Gesù nel deserto. Lì si trova la capacità umana e, dunque, il compito umano di determinare le sue scelte.
Dio è come un contadino nei miei riguardi; attorno a questa vite, a questo campo seminato, a questo piccolo orto che sono io, mi cura, fa che intorno alla mia zolla il sole e l’acqua portino ancora vita. Un vaso di creta, uno stoppino fumigante, una canna incrinata sono sufficienti al Signore per attendere e sperare. Convertirsi è cambiare sguardo, credere a un Vangelo la cui legge vitale è la fecondità, il fiorire della vita. La morale evangelica è la morale della spiga carica, del grappolo maturo, della parola che consola davvero, del sorriso che illumina. Ed ecco che il racconto delle tentazioni ci assicura che il Figlio di Dio ha assunto tutto quello che noi siamo al fine di guarire interamente il nostro essere. La pagine evangelica di Mt 4,1-11 ci fa conoscere in profondità il cuore di Gesù, l’umanità del Figlio di Dio. E, così facendo, rivela pure la nostra umanità, quella che il Cristo è venuto a salvare, quella che possiamo adesso assumere pienamente dal momento che sappiamo che questa può essere guarita.
Ciò che è vero per Cristo, è vero anche per noi.
La parola del Vangelo diviene, quindi, una parola di liberazione. Gesù, infatti, non ha superato le prove con delle risposte brillanti, ma ne è uscito con l’aiuto di tre semplici versetti biblici, esplicitati in uno dei commenti più belli a tale pagina, contenuto nella Lettera agli Ebrei, nella quale l’autore afferma: “(Cristo) perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, Egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (2,17-18).
Il Cristo è divenuto in tutto simile a noi, affinché noi diventassimo simili a Lui.
Gesù non si è vergognato della sua fragilità umana, aprendo per noi un cammino nel quale risultiamo benedetti e amati per quello che siamo. L’uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio (Mt 4,4). Vive. Non solo sopravvive, ma cresce, porta a pienezza la sua vita. E dalla bocca di Dio è venuta la Parola. Dalla prima parola è venuta la luce, poi è stato creato il cosmo e, quindi, la bellezza. Dalla bocca di Dio sei venuto tu, mio caro amico, e sono venuto io e tutte le creature che popolano la Terra. Pertanto, la lotta della fede non ha lo scopo di innalzarci al di sopra della nostra condizione umana, ma di mantenerci fermi nella fiducia che Dio ci ama, anche quando siamo fragili e bisognosi. Dio si incammina con me; cerca me; entra in me ed io sono solo un uomo con una storia accidentata, che tuttavia non rimane da solo perché il Cristo è con me.
Questa è la nostra certezza: nella prova il Signore è con noi. Forse non risponde a tutto ciò che io chiedo, eppure avrò tutto ciò che mi serve. Non un volo di angeli, ma una lampada che sia luce per ognuno dei miei passi.
Amici cari,
queste poche note sulla nostra fragilità e la “potenza” dell’amore divino, verranno sicuramente arricchite alla fine del prossimo mese di Settembre, quando avremo la gioia di accogliere in mezzo a noi Suor Antonella Piccirilli, che ci aiuterà a preparare e vivere la festa di S. Teresa di Lisieux, nell’ anno in cui ricordiamo i 150 dalla sua nascita (2 gennaio 1873). La ricerca, che Suor Antonella ha fatto, ha prodotto un volume che rappresenta una miniera nella comprensione di questa carmelitana doc: “FRAGILE COME TUTTI, FELICE COME POCHI – Teresa di Lisieux e le nostre ferite” San Paolo Edizioni, 2019.
Auspichiamo di ritrovare la sorgente d’acqua pura, acqua zampillante che faccia sgorgare in ognuno di noi la gioia autentica di esistere, libertà e pienezza di vita.
Vi attendo numerosi per la Festa di S. Maria del Carmelo prima della pausa estiva, poi alla tre sere animata dalla suora per imparare alla scuola di Teresa di Lisieux ad essere “l’amore, nel cuore della Chiesa, che è nostra madre”.
Auguri di ogni bene,
p. Ettore
Lascia un commento