Pubblicato da: Admin

Lettera Ottobre 2022

Carissimi,

da circa otto mesi la guerra incrudelisce gli animi nell’Est Europa, creando sofferenze indicibili: migliaia di morti, famiglie divise e sparse in luoghi diversi del territorio europeo, corridoi umanitari freddati prima ancora di raggiungere una meta agognata, danni e macerie che la TV quotidianamente sforna a nostro nutrimento, a qualsiasi orario del giorno.

Tutti noi ci ritroviamo spettatori impotenti di un disastro immane e disumano.

Mentre il mondo della diplomazia cerca, infruttuosamente fino a questo momento, di risolvere questa tremenda crisi, tanti cristiani si chiedono: qual è l’atteggiamento moralmente giusto di fronte alla guerra?

Intendo tentare di articolare una risposta, rifacendomi a uno scritto di don Primo Mazzolari “Tu non uccidere” che, uscito nel 1955 per i tipi della editrice La Locusta in forma anonima, onde evitare provvedimenti ecclesiastici, è stato pubblicato in seguito da altre case editrici e arricchito da introduzioni e commenti con un buon apparato critico. L’edizione che ho consultato è del 1991, pubblicata dalle Paoline; pertanto, le citazioni che troverete nella presente, indicate semplicemente col numero di pagina, si rifanno al suddetto volume.

Sul Web, a testimonianza della portata profetica di questo scritto, è possibile consultare e prendere visione di un buon numero di filmati e rimandi che hanno la forza di arricchire la comprensione delle provocazioni mazzolariane.

Dove vale il Vangelo, regna la pace negli individui e nelle nazioni;

dove si scatena la guerra, il Vangelo è violato” (29).

È questa la tesi di fondo che muove la riflessione del parroco di Bozzolo, il quale con voce chiara e autorevole riconosce l’inconciliabilità del Vangelo con la guerra, della Buona Novella con la forma estrema e cruenta di un conflitto aperto e dichiarato fra due o più Stati. L’affermazione di don Mazzolari potrebbe sembrare scontata, ma con lucida amarezza dobbiamo ricordare che “quando i cristiani hanno posto condizioni ragionevoli alla pace, a mettere davanti le loro ingiustizie, non ci siamo più capiti, neanche in cristianità, ed è stata la guerra” (31).

L’espressione più forte – frutto della sua conversione paradossalmente causata dalla Prima Guerra Mondiale per la quale si era dichiarato favorevole all’intervento dell’Italia, ma alla fine del conflitto ne era uscito terribilmente segnato dalla perdita del fratello e di tanti commilitoni – fa leva su una denuncia implacabile: “la guerra non è soltanto una calamità, ma un peccato” (25).

Da qui in avanti l’insegnamento di don Primo, attingendo alla Scrittura, si fa dirompente:

«Dio ha comandato: “Tu non uccidere”; e per di più si uccidono i fratelli, figli di Dio redenti dal sangue di Cristo; sì che l’uccisione dell’uomo è a un tempo omicidio, perché uccide l’uomo; suicidio, perché svena quel corpo sociale, se non pure quel corpo mistico, di cui l’uccisore stesso è parte; è deicidio, perché uccide con una sorta di esecuzione di effigie l’immagine e la somiglianza di Dio» (28).

Il parlare di don Mazzolari scuoteva direttamente la Comunità dei credenti perché, secondo lui, la Chiesa in quel preciso contesto storico- culturale non era così intransigente sul tema cruento della guerra come si mostrava, invece, a proposito dell’indissolubilità matrimoniale, che lo stesso don Primo definiva “una intransigenza traboccante di saggezza e umanità”.

Ne nasce spontaneamente un quesito che esige risposta impegnativa:

Perché dunque tante eccezioni al quinto comandamento?

La cultura della non-violenza in don Mazzolari nasceva dal confronto continuo con la Parola di Dio e si esternava nel suo impegno profetico finalizzato a scuotere la coscienza dei cristiani. Impegnato in prima linea, vede la morte causata dall’uomo, scruta gli occhi di tanti dei nostri giovani in trincea al fronte, sente dentro di sé anelito di pace perché la cifra della pace affonda le radici nel mistero della Croce: “Sul Calvario viene raggiunta la perfetta somiglianza tra il Figlio dell’uomo e il Figlio di Dio, perché Cristo ha rinunciato a difendersi contro l’uomo, senza rinunciare a testimoniare per la verità e per la giustizia” (43). E per concludere questo passaggio fondamentale lanciava una provocazione: «Come può un cristiano, la cui via regia è la croce, rinunziare alla croce? (…) Chi accetta la necessità della guerra, si schioda dalla croce non potendone sopportare l’impotenza del fare giustizia “Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce”» (45).

Davanti a queste affermazioni così nette, qualcuno potrebbe pensare che don Mazzolari non conoscesse bene la dura logica delle cose del mondo; tanti ritenevano che fosse un visionario…

No, amici cari! Lui era un uomo con i piedi ben piantati nel quotidiano e per questo si è fatto portavoce, paradossalmente, di coloro che gli rinfacciavano la situazione reale.

Affermava infatti: “Queste idee sono belle: vengono dal Vangelo; però la realtà è un’altra; il concreto è diverso. Un conto la teoria, un conto la realtà. La pace e, quindi anche il Vangelo, è l’utopia, la guerra è la concretezza (…) È pericoloso e soprattutto scomodo il Vangelo, ma andiamoci piano a opporre realismo e Vangelo. Solo la sua eroica applicazione può salvare il mondo, se no il mondo continua a uccidersi fino a che il pianeta diventi un locale disabitato” (53-54).

Le ultime parole si stanno sempre più avverando – purtroppo! – nelle decine di guerre sparse in tutto il mondo, a partire da quella in Ucraina.

Il pensiero di don Mazzolari sulla guerra ha fatto scuola soprattutto nel Magistero Conciliare della Chiesa. Basta leggere la Gaudium et Spes, datata 1965, per notare come i padri del Vat. II hanno deliberatamente omesso di parlare di “guerra giusta”, perché tale espressione sarebbe risultata ambigua e funzionale ad una politica di accezione bellica e militarizzata.

Occorre sottolineare un ulteriore punto basilare dell’insegnamento Conciliare, sulla scia delle provocazioni di don Primo, riguardante il ricorso alla forza delle armi. Ciò non è sinonimo di guerra, solo in caso di difesa da un’aggressione in atto, dopo che ogni altra via di composizione della controversia sia fallita (cfr GS 79).  In continuazione con questo pensiero, anche per i cattolici, si è fatto strada il concetto di “ingerenza” o “intervento umanitario”. Si tratta del ricorso alla forza militare in un contesto di solidarietà globale che, sebbene preveda l’intervento con le armi, si distingue nettamente dalla guerra, per la finalità, la motivazione e la modalità, avendo come obiettivo principale il disarmo dell’aggressore. È chiaro che questa ultima ipotesi rappresenti il punto più estremo, sul tema del ricorso alle armi, del pensiero cattolico.

Ritorno all’intuizione di fondo di don Mazzolari per ribadire con lui che nessun credente può restare muto di fronte al dramma della guerra. Infatti “la Chiesa custodisce il Vangelo di pace e lo semina ovunque, senza chiedersi dove e come e se nascerà” (30).

Carissimi,

in questi mesi di guerra in Ucraina ciascuno è stato scosso da sentimenti di collera, odio, sconforto, pensieri di resistenza e di resa, di invocazione, imprecazioni …

Don Primo Mazzolari, sessantasette anni addietro, provocava i cristiani a cogliere la portata rivoluzionaria della non-violenza fondata sulla “pace crocifissa”, grazie al gesto di amore di Gesù.

Chiediamo ancora “al Signore di ergersi, affrontare e abbattere l’empio con la sua spada” (Sal 17,13) e, nello stesso tempo, lavoriamo per essere costruttori di pace solidale nei nostri ambienti di vita quotidiana.

Auguri di ogni bene,                                                                                      p. Ettore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *