Pubblicato da: Admin

Lettera Gennaio 2022

Carissimi,

vi scrivo in un momento alquanto problematico per la ripresa violenta della pandemia, che non ha risparmiato nemmeno la nostra cittadina.

Tanti soffrono nel chiuso delle proprie abitazioni o in solitudine tra una corsia di ospedale e una terapia intensiva; altri sono asintomatici, ma bloccati dentro le mura delle proprie case; alcuni troppo superficiali o incuranti girano e vivono una vita fin troppo normale, non negando alle proprie persone alcunché, anche a danno del prossimo; diversi si interrogano sull’oggi, alba di un domani incerto.

Abbiamo bisogno di essere liberati dalle tenebre che ci avvolgono, che ci rendono inquieti, preoccupati, timorosi.

Nella tenebra, simbolo del caos e della morte, sorge improvvisamente una luce, quasi per miracolo.

Questa luce è un bambino mandato da Dio.

Sono queste le parole suggerite da Carlo Maria Martini e vi invito, fin da subito, a leggere le pagine 105-115 del testo da lui scritto, Verso la luce, San Paolo, 2011, per godere di un ottimo commento biblico a tutta la pericope della Lettera a Tito 2,11-13, su cui verte nello specifico il tema di questa lettera.

Giorno 9 gennaio 2022, solennità del Battesimo del Signore, mentre commentavo la seconda lettura, proprio la Lettera a Tito, vi preannunziavo che, nello scritto mensile, mi sarei ispirato al brano in cui S. Paolo, dopo avere fatto riferimento alla manifestazione dell’amore gratuito e salvante di Dio (Tt 2,11), al versetto successivo afferma che lo stesso (amore) insegna a respingere ogni malvagità e le sollecitazioni del mondo per condurre (…) una vita piena di sapienza, di giustizia e di amore verso Dio. Prediligo questa traduzione rispetto a quella fornita dalla CEI, che traduce le parole evidenziate con “sobrietà, giustizia e pietà”, in quanto più letterale.

La voce di Paolo acquista, anche in questo travisamento, un significato particolare per la cultura e la società contemporanea: è un richiamo ai valori alti. Nell’Apostolo si concentra in modo emblematico il messaggio cristiano nella sua forza attualizzante e nella sua capacità di incidere nelle attese umane, senza perdere la sua identità. Di lui il poeta Mario Luzi scriveva: Paolo è una figura enorme che emerge dal caos dell’errore e dell’inquieta aspettativa degli uomini per dare un senso alla speranza. Uomo venuto da una crisi planetaria…

   Sapienza, giustizia, amore, ovvero capacità spirituale, volontà di rispettare il diritto di ognuno, ricerca del bene, sono virtù.

Tali virtù sono presenti anche in tutta quella letteratura extrabiblica, che richiama principalmente filosofi e pensatori classici, quali Socrate, Platone, Filone, in quanto anche siffatto mondo pagano considera queste integrità quali “cardini” della struttura etica dell’uomo.

Nello specifico, la sapienza risulta essere quel sapere profondo, cioè quella condizione di perfezione intellettuale che si manifesta col possesso di una grande conoscenza e una specifica dottrina. Tuttavia, l’uomo per poter avere la sapienza deve necessariamente predisporre l’orecchio all’ascolto e non ad un semplicistico sentire, aprendo il cuore e la mente alla purezza del pensiero stesso.  In estrema sintesi, sul piano personale, la “sapienza” è quella capacità di valutare e di discernere con maturità e responsabilità. Ad essa si associano la “giustizia”, quale cartina di tornasole dei rapporti fra gli uomini, e “l’amore verso Dio” che convalida, di fatto, le due precedenti virtù.

Tuttavia, il concetto stesso di sapienza sembra ormai fuori moda, vetusto, arcano.

È questa una semplice provocazione o forse la modalità spicciola e sbrigativa di afferrare e comprenderne l’accezione?

Molti adulti, infatti, pensano che essa sia appannaggio di vecchi e fanciulli: dei primi, perché equipaggiati di esperienze; dei secondi perché conservano lo sguardo innocente che fa loro valutare gli eventi senza alcun pregiudizio.

Dio mi ha donato la sapienza e per mezzo della sapienza tutti gli altri beni,

perché nelle sue mani ci sono tesori incalcolabili.

La sapienza è, invece, frutto di un’educazione che si caratterizza dal superamento del proprio io, sostenuta da una buona dose di umiltà, che non assolutizza le proprie convinzioni, ma che si concretizza nella disponibilità a vivere in modo cristallino e trasparente.

Così intesa, la sapienza misura la maturità affettiva. I filosofi antichi, infatti, la collegavano direttamente al cuore, considerato la sede di convergenza dell’identità umana. È bene precisare, come scrive S. Paolo, che non è tanto frutto dello sforzo personale, quanto un dono che scende dall’alto per coloro che entrano nell’amore di Dio. Pertanto, parafrasando la citazione di cui sopra, possiamo dire che la manifestazione dell’amore gratuito di Dio – riferimento diretto al mistero dell’Incarnazione – insegna ad esser sapienti.

Tale operazione richiede all’uomo un’accoglienza sensibile dei valori che riguardano l’essere e non semplicemente il sapere o il fare, elementi tipici della cultura moderna e post-moderna. In una battuta, si tratta di organizzare la propria vita attorno a un “centro di gravità permanente”, come cantava Battiato, che dia senso all’esistenza di ciascuno.  Un approccio siffatto diventa, allora, profezia nei vari ambienti comuni – lavoro, famiglia, comunità ecclesiale – e riesce a riconciliare e pacificare le inevitabili contraddizioni per una migliore qualità della vita. Il colore e il sapore di questa scelta trovano finalità nel dare una dimensione spirituale all’esistenza, mediante una relazionalità pregnante (nessun uomo è un’isola!) e un’affettività liberante.

La riflessione fin qui presentata ribadisce il carattere esigente della sapienza (non la si compra al supermarket e non la si trova sui libri di scuola), se non si vuole consegnare la propria vita ad un’esistenza vuota e dissonante.

Per illuminare correttamente questa affermazione, basta rileggere il Vangelo di Mt 5,13, che induce ad accogliere la predicazione evangelica e così dare sapore alla vita, rendendola veramente “gustosa”:

Voi siete il sale della terra.

Dalla scienza e dalla prassi millenaria sappiamo che il sale dà sapore e preserva dalla corruzione. Quanti alimenti vengono ancora conservati sotto sale! In chiave simbolica, il sale indica la sapienza, come recitava il vecchio Rito del Battesimo dei Bambini: Áccipe, sal sapientiae, e anticamente simboleggiava anche l’amicizia.

Il brano evangelico segue la pagina delle beatitudini, quasi a dire che la comunità cristiana è sale quando vive e testimonia proprio le beatitudini. Chi si accosta ripetutamente a tale pagina avverte che il contenuto è inesauribile, ha sempre nuova risonanza ed eco profonda: nelle beatitudini troviamo una luce sempre diversa, in relazione al momento particolare che viviamo nella nostra dimensione personale.

E così la bellezza apre al mistero e guida alla decisione morale di accettare il mistero. Il tutto diventa felicità senza fine!

Auguro a tutti di avere il sapore di Cristo per essere trasparenza della sapienza che viene dalla croce e non della sapienza di questo mondo che è stoltezza davanti a Dio (1 Cor 3,19), perché anche noi come l’Apostolo possiamo annunciare con la vita la manifestazione dello Spirito e della sua potenza (1 Cor 2,4).

                                                                                                                                                                                         p. Ettore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *