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Lettera marzo 2021

Carissimi,

ci stiamo pienamente immergendo nella stagione primaverile, largamente anticipata, tra la seconda metà di Febbraio e l’inizio di Marzo, da giornate calde e soleggiate, periodo nel quale la natura esplode in tutta la sua bellezza e potenza. I prati cominciano a fiorire, sugli alberi i primi germogli, il cinguettio degli uccelli allieta e riempie il cuore: tutto dice cambiamento, armonia, mistero di vita nuova! Un’eco iscritta sul pentagramma delle note di Simone Cristicchi, nella canzone specifica dal titolo Lo chiederemo agli alberi:  

Ogni anno, dopo aver attraversato l’autunno e l’inverno, “come sempre, la primavera arriverà”.

Anche nella Bibbia è iscritto l’arrivo della nuova stagione, proposto mediante il mistero della crescita del Regno di Dio con la metafora del granello di senape:

Mt 13 31Egli propose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo prende e semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi; ma, quand’è cresciuto, è maggiore degli ortaggi e diventa un albero; tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami».

In questa breve parabola, la minutissima taglia del seme offre a Gesù la possibilità di focalizzare come il carattere infimo del Regno è seminato nel cuore dell’uomo e come questi non può avanzare alcuna pretesa di grandezza circa la sua attività, anzi la vita stessa dell’essere umano diventa paradigma del mistero di crescita.

Da questa prima constatazione, prendo le mosse per offrirvi – con la metafora del granello di senape – una riflessione, scandita in due momenti distinti ed univoci, che si concluderà con l’invito ad entrare nel “giardino” per “lasciarsi incontrare dal giardiniere” (chiara allusione al racconto della Risurrezione del Signore nel giorno di Pasqua).

   La mia riflessione si lega innanzitutto ad un aneddoto, o meglio al ricordo di un momento comunitario vissuto con molti di voi durante una Veglia animata dalla Fraternità di Romena.

Ciò, oggi, desta, richiama, risveglia dentro di me quella meraviglia percepita negli occhi di molti presenti quando, a conclusione del momento di preghiera – riflessione, p. Luigi Verdi fece consegnare un granello di senape sul palmo della mano di ciascun partecipante, quale gesto simbolico dell’esperienza vissuta e condivisa.

Tutti abbiamo ammirato l’estrema piccolezza del chicco ma, al contempo, abbiamo maggiormente compreso quanto intuito e/o contemplato durante la preghiera, ovvero che quell’infimo seme conteneva già il suo sviluppo in un albero grosso e robusto.

Senza meraviglia- avverte don Tonino Bello– non si può adorare Dio. Senza avere coscienza che ci troviamo di fronte ad Uno che fa continuamente nuove tutte le cose, quindi anche questa nostra anima vecchia, questo nostro cuore antico: senza questa convinzione non possiamo adorare in profondità. Impariamo perciò a stupirci.

Occorre, tuttavia, sottolineare come spesso in ciascuno di noi si possa creare un gap nella comprensione della realtà: come ammirando un grosso albero difficilmente pensiamo che la sua vita sia cominciata da un piccolo e misero seme, così la constatazione pressoché impercettibile del Regno di Dio ci induce – falsamente – a farci dimenticare la sua fecondità in atto.  

Come fa il granello a crescere?

Il piccolo seme è dotato di “resilienza” (caratteristica riscoperta in questi anni soprattutto in ambito psicologico), cioè di una forza misteriosa che permette di superare avversità e fragilità ambientali.  A mio parere, questa forza è presente in ogni uomo che, al di là dei propri limiti e delle proprie insicurezze o debolezze, riesce sempre – magari a distanza di tempo – a sorprendere tutti, a cominciare dai familiari., perché come scrive don Tonino Bello la persona è icona della Trinità, cioè è chiamata a riprodurre la sorgività pura del Padre, l’accoglienza radicale del Figlio, la libertà diffusiva dello Spirito.

   Com’è bello l’atteggiamento di quei genitori che, durante la crescita dei propri figli, sono presenza attenta, costante e delicata nella loro vita; aiuto e sostegno nella prova; guide autorevoli, che con onestà intellettuale e di cuore seguono il processo di crescita umana e cristiana e sono lontani dal far pesare loro – con giudizi assurdi alimentati da insoddisfazioni personali non risolte – l’incapacità di riuscire nella vita! I figli vanno amati nel rispetto della loro diversità caratteriale, nel carisma di cui ciascuno è detentore perché

Educare è opera del cuore!

E come avviene per il granello che con cura viene seminato al momento opportuno e al posto giusto… così la realtà di pace, libertà, giustizia deve essere depositata nelle pieghe del cuore di ogni uomo. La metafora, inevitabilmente, si prolunga per farci concludere che il Regno deve radicarsi nella buona terra, l’humus necessario per crescere. Come infatti insegna il Vangelo (“Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno”, Mc 4,8) e l’esperienza, perché il seme sviluppi e maturi, è necessario un terreno buono …così crescendo l’albero approfondisce le sue radici, allarga il tronco e dispiega i rami e diviene generoso con gli uccelli del cielo, riparo sicuro.

Da “humus”, cioè “terreno, buona terra nutritiva”, etimologicamente deriva il termine “umiltà”, da non intendersi come abnegazione o lamentevole sentimento nei confronti della vita e di sé perché la vera e autentica persona umile è chi mette radici profonde nel proprio terreno, chi non guarda con cupidigia e avidità il campo del vicino, ma sviluppa le sue potenzialità secondo i doni ricevuti da Dio e li vive nella realtà quotidiana con semplicità, gioia, autenticità, trasparenza, coscienza e consapevolezza. Il rischio che corriamo è quello di abusare spesso del termine umiltà nelle nostre conversazioni, pensando e facendo intendere che noi siamo sempre e comunque gli umili del Vangelo e gli altri, il nostro prossimo, i superbi. Ma è proprio l’umiltà che obbliga a stare con i piedi “piantati” in terra, a vivere nella verità, a non cercare fughe in paradisi fantasmagorici per evitare quanto la vita riserva, in ogni stagione dell’esistenza.

La conclusione naturale del seme che sprofonda nell’humus è così descritta da Mt 13, 32:

Esso è il più piccolo di tutti i semi; ma, quand’è cresciuto, è maggiore degli ortaggi e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami.

Amici,

chiediamo al Signore il dono dell’umiltà e viviamolo fraternamente, per crescere da uomini liberi e lavorare responsabilmente nella sua vigna. È questo il presupposto per prepararci all’incontro pasquale con il Signore della Vita, che sa scavare negli abissi delle nostalgie, che ci fa capire che Egli ci ha fatti per Lui e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Lui:

viviamo di Luce che sa di Risurrezione.

Auguri di ogni bene!

                     p. Ettore

(continua)

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