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Lettera agosto 2020

Carissimi,
abbiamo celebrato da circa 15 gg. il Corpus Domini, solennità che ci ha fatti immergere pienamente nel mistero eucaristico.

E quest’anno, vincolati dalla norme sul distanziamento antiCovid-19, non è stato possibile fare la processione del SS. Sacramento, momento di comunione intima e vitale con il Signore, coinvolgente una buona fetta del Popolo santo di Dio. Alla fine della messa vespertina abbiamo creato uno spazio per l’adorazione silenziosa e, benché l’aula liturgica fosse piena nei posti disponibili, dal sagrato antistante la chiesa si sono uniti altri fedeli alla preghiera comunitaria. Mentre benedicevo l’assemblea con l’ostensorio, ho avuto un’intuizione strettamente legata al mistero eucaristico.

Ho pensato che l’amore del Signore sceglie di esprimere attraverso le distanze il rispetto esteriormente significato, una “distanza” fatta di generosità che suscita in noi lo “spazio” necessario nel quale accogliamo l’Amore. In una battuta, si tratta di “applicare” lo slogan che ha contraddistinto il lungo periodo del lockdown: “distanti ma vicini” (in francese la formula è più completa: “loin des yeux, près du coeur”).

Lì, davanti all’Eucaristia, scopriamo che bisogna vivere la nostra esistenza come un sacramento e dimorare intensamente uniti a tutta questa umanità, della quale dobbiamo farci carico…altrimenti si rischia di far diventare la celebrazione eucaristica un “teatrino sacro” e bene che sia…non è quello che voleva Gesù.

In questi mesi di isolamento e quarantena “sacramentale”, paradossalmente, siamo stati “costretti” a riscoprire lo spirito autentico della celebrazione eucaristica. E per quello che ci riguarda, benché il nostro compito primario non è riformare la liturgia ma viverla, prendiamo coscienza dell’incidenza di essa (liturgia) sulla vita che diventa fondamento e sviluppo dell’incontro genuino con il Signore.

La celebrazione liturgica funge, in questo contesto, da cartina di tornasole per eliminare da noi l’ingiustizia, la durezza di cuore, l’insensibilità ai malesseri del mondo; allontana l’accettazione della violenza, della guerra, della tortura perché l’Eucaristia si mostra come il sacramento che richiede di identificarci con tutti e con ciascuno, entrando in intima comunione, come una madre potrebbe farlo con il suo figlio unico.

Non c’è nulla di estraneo per il cristiano (GS). Non esiste alcun muro di separazione. Per il cristiano, c’è la comunione universale, quella dei santi. C’è un solo corpo, quello mistico, dal quale nessuno è escluso ed è il solo che può presentarsi davanti al suo Signore, perché Lui stesso è andato incontro fino alla morte di croce per ciascuno di noi, dal momento che ognuno di noi è per Lui il centro del mondo.

Ne deriva che tutti noi abbiamo la capacità di “ricreare” una nuova partenza, essendo ciascuno di noi indispensabile all’equilibrio dell’universo. È a questa novità di vedute che Gesù vuole condurci affidandoci la missione del Vangelo che l’Eucaristia concretizza.

L’invito finale della celebrazione eucaristica “La messa è finita. Andate in pace” (più sinteticamente e solennemente nel testo latino “Ite. Missa est”) risuona come un appello a prolungare, nel tempo e nello spazio, il mistero celebrato: “Andate, è questa la missione…!”. È come se ci venisse detto: “Voi siete inviati sempre, inviati dappertutto, inviati a tutti, perché incaricati dal Signore il cui cuore è illimitato e dovete solo desiderare che il vostro cuore abbia una portata universale, perché modellato sul Suo” (significativo che la Chiesa dopo il Corpus Domini faccia celebrare la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù…).

È molto consolante che questo dinamismo si radichi nella vita quotidiana, perché il Cielo – vale a dire la vita trasfigurata e aperta alla presenza divina – pregustato nell’Eucaristia è una risposta all’eterna proposta di amore che ci fa contemporanei e partecipi del dialogo nuziale fra lo Spirito e la Sposa che ci invita ad andare “ad attingere in dono l’acqua della vita” (Ap 22,18).

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