Lettera Maggio 2025
Carissimi,
questa lettera vi giunge nel contesto dell’elezione di papa Leone XIV, anche se pensata e cominciata prima dell’otto maggio, giorno in cui abbiamo ascoltato: “Habemus papam….”.
Viviamo immersi nel tempo pasquale, periodo nel quale le parole del salmista più volte ascoltate- “Gustate e vedete com’è buono il Signore/ felice l’uomo che si rifugia in Lui” (Sal 34,9)- prolungano di fatto l’esperienza dei discepoli di Emmaus. Questi hanno gustato la grazia, la bontà e la misericordia del Risorto mediante una conoscenza personale profonda, capace di fare “ardere il cuore nel petto” e atta a suscitare il desiderio forte di annunciare con la vita la forza dirompente dell’Amato incontrato.
La marginalità è tristezza e nebbia.
La tipicità è saper trovare, dentro il grande mosaico della storia, il proprio colore.
Oggi più che mai di Cristo Risorto abbiamo immenso bisogno, cioè di prospettive lunghe e chiare, che diano senso al nostro camminare su strade di mistero perché il non vedere la meta è, attualmente, la grande tragedia di questo nostro contesto storico-culturale, capace di vendere tutto, ma che fatica a dare autenticità all’uomo disorientato e impaurito.
La società del Terzo Millennio consegna ancora l’uomo di Emmaus dal volto scuro, dal cuore deluso e dall’animo triste, in attesa di una parola che apra il cuore, in un comprendere adagio il misterioso agire di Dio, che parla ancora tramite gli avvenimenti dell’esistenza, soprattutto quelli difficili, misteriosi e incomprensibili.
La vita cambia per un incontro: la mia e la tua.
A noi non resta che fissare il nostro sguardo sul suo volto: Guardate a me e sarete raggianti!
Solo così l’esperienza di fede potrà tradursi fattivamente nell’annunciare la strada della luce ad un mondo spesso stanco e smarrito, nel “contagiare” gli altri di bellezza, sostenuti dalla spinta di “attrazione” che sazia la nostra fame e sete di Dio.
Non vincere, ma convincere; non imporre, ma proporre; non giudicare, ma analizzare!
Si tratta di essere, oltre che credenti, credibili, seguendo la testimonianza autentica del Beato Giudice Livatino che nel suo diario alla lotta alla mafia ha lasciato chiarezza profetica.
Non per nulla, soprattutto durante la terza settimana di Pasqua, la Liturgia della Parola feriale fa risuonare le parole di Gv 6, 35: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi viene a me non avrà sete, mai”.
Per cogliere in profondità queste parole dovremmo chiederci: quale gusto ha la nostra vita?
O meglio: che cosa la sazia veramente?
Queste domande sono la cassa di risonanza di quanto provocatoriamente scriveva il profeta Isaia (55,1-2): “O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente; comprate e mangiate senza denaro e, senza spesa, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cibi succulenti”.
Si tratta di una metafora attraverso la quale, al popolo rientrato dall’esilio, il profeta dice che una vita lontana dal Signore diventa incolore, insapore, dissonante e vuota.
E ancora alle parole di Isaia si rifà un altro passo della Scrittura, Ap 22,17: “….chi ha sete, venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita”. I Padri della Chiesa, soprattutto Origene, hanno preso spunto dal versetto salmico citato per teorizzare la “dottrina dei sensi spirituali” che fa leva su un’intuizione, al contempo, semplice e profonda: come per i sensi del corpo, per crescere nella conoscenza e nell’amore di Dio siamo invitati a sviluppare i sensi interiori.
Andiamo alla ricerca di un dove l’animo possa specchiarsi, un dove poter cogliere sintonie con ciò che di bello e semplice lo sguardo incontra. Sulle parole di don Luigi Verdi crediamo che ad attrarci sia la luce che nasce dalla profondità: lo intuisco perché nessuna luce banale riesce a consolarmi, solo l’armonia, forse perché sottolinea l’invisibile senza tradirlo, lascia aperta la porta dove esterno e interno respirano insieme. L’armonia sembra abbia appreso dalle api la sua liturgia: un comporre con amore il nettare di mille fiori diversi per offrirmi il gusto della vita.
In questi tempi oscuri occorre leggere le follie quotidiane di questo presente, gli innaturali ritmi a cui risultiamo spesso assuefatti. È l’armonia il dono assai prezioso per l’uomo che vive in frenesia i suoi giorni, incapace quasi di gustare in profondità la musicalità dell’anima in sinergia col creato.
Propongo un ulteriore esempio al fine di chiarire meglio l’argomento.
Quando la preghiera diventa un appuntamento regolare e fedele, la nostra vita interiore è alimentata da un “cibo spirituale” e il nostro gusto si delizierà delle “cose di Dio”.
S. Agostino a tal proposito parla del “godimento spirituale”, testimoniato dall’esperienza vissuta da tanti santi, fra i quali non si può non citare Teresa d’Avila, che parlava del desiderio di “gioire di Dio” (gozar de Diós). Un’ispirazione profondamente impressa nel cuore umano: vederlo, toccarlo, ascoltarlo…così come si legge in 1 Gv 1.3.
Stiamo perdendo la sensibilità di sentire la delicatezza con cui Dio medica le nostre ferite; non percepiamo come Lui accarezzi le nostre mani per far cadere e spargere semi di gentilezza.
Con difficoltà i nostri occhi si aprono all’incanto di una vita, eternità in tutto fin dal più semplice fiorellino del campo o dalla melodia del cinguettio degli uccelli.
Comprendo bene, però, che spesso accade di perdere il gusto di Dio.
Questa prova è sulla stessa linea di quella vissuta da San Giovanni della Croce nella “notte dei sensi”. Come per lui, anche per noi si tratta di un’esperienza dolorosa ma necessaria, altrimenti si corre il rischio di cercare il gusto di Dio, piuttosto che Dio stesso, interrompendo così il cammino di ricerca. Tuttavia, il Signore ci mette alla prova per purificare il nostro cuore e condurci a un amore più grande, come già avvenuto per la sposa del Cantico dei Cantici (3,1).
Alla fine della notte ci si ritrova più umili, più adatti a ricevere la piena soavità spirituale, un amore puro. Restare aderenti alla vita è non chiudersi nei “luoghi sacri”, ma correre dietro il profumo e le orme di Dio e questa fedeltà non può non portare frutto.
Auguro a tutti noi di essere perseveranti nell’amore, quando il gusto di Dio viene meno, e di credere che nel Regno saremo simili a Lui, perché lo vedremo così come Egli è (1 Gv 3,2).
p. Ettore
Lascia un commento