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Lettera Gennaio 2025

Carissimi,

da circa un mese, come “pellegrini di speranza”, viviamo l’esperienza del Giubileo ordinario.

Trattasi, secondo le indicazioni bibliche, di un tempo di grazia particolarmente intenso, durante il  quale l’uomo riscopre la misericordia del Padre e mette in atto una conversione, al contempo,  personale e comunitaria attraverso la presa di coscienza della paternità di Dio e della fraternità con i suoi simili.

Come ben sapete, il Giubileo ha cadenza venticinquennale ed è occasione propizia per lodare il Signore per tutti i suoi benefici e impegnarsi seriamente nell’instaurare uno stile di vita fraterno: nuove ragioni di speranza nel guardare al nuovo che nasce, che promette fioriture e frutti, al fine di lasciarsi afferrare dall’energia trascinante di Cristo heri, hodie, semper.

Pertanto la lettera di questo mese vuole offrire, circoscrivendoli alle sollecitazioni che provengono dalla Parola di Dio, alcuni spunti di riflessione sulla tematica del “tempo”.

L’incipit del mio dire, tuttavia, non può non mettere in chiaro la distinzione, senza contrapposizione, del tempo cronologicamente inteso, quello degli orologi, che misura il movimento delle lancette, e il tempo esperienziale, quello cioè dei movimenti dell’anima, del pensiero, degli affetti e della coscienza.

Se da un lato abbiamo il tempo scandito e parcellizzato, del quale possiamo anche misurare lo spreco (a tal fine invito tutti a leggere tramite il Web il celeberrimo racconto di Dino Buzzati, “I giorni perduti”), dall’altro abbiamo il tempo vissuto nell’interiorità, nell’intimità del proprio io.

Il tempo ordinario, cadenzato dalle occupazioni quotidiane, per i cristiani deve trovare un fondamento e una consistenza valoriale nel tempo festivo.

In tal senso è molto utile rivedere il dialogo fra il Piccolo Principe e la volpe, quando quest’ultima ricorda al ragazzo perché il giovedì è un giorno di festa per lei… Infatti ogni giovedì, mentre i cacciatori ballano con le ragazze, lei può spingersi fino alla vigna.

Occorre rileggere e vivere il Giubileo secondo quella che è la finalità più immediata dell’evento, ovvero non sprecare il tempo che Dio ci dona. Ed è per questo che necessita prendere coscienza di dare al tempo medesimo un senso di salvezza, lavorando a una società capace di condividere i beni, proiettandosi verso l’eternità.

Guardiamo la vita con lo stupore di essere vivi, in un universo fervente di vita.

I sogni di oggi sono il futuro che muove il presente, la vita che si esprime in forme non immaginate.  Dalle mani del Padre il tempo fiorisce inesauribile e illimitato.

L’augurio è quello che l’infinito cammino di Dio sia il nostro! È la nostra fede nell’esito buono della storia: il mondo non è gravido di morte, non partorisce solo menzogna; la bellezza della donna vestita di sole è più forte del grande drago rosso. Il suo canto, senza tempo- fuori dal tempo, ci mette in relazione intensa con l’Eterno, fonte traboccante di gioia e speranza, e ci dice che il progetto di Dio per l’umanità è liberante pienezza di vita per tutti.

La riflessione è, di certo, supportata dai numerosi contributi biblici. Uno nello specifico è dal sapore sapienziale e invita gli uomini a vivere alla presenza di Dio, re dell’universo, e offre una chiara meditazione sulla transitorietà della vita che si fa supplica comunitaria perché Dio consolidi l’opera stessa dell’uomo.

Si tratta del Salmo 90 che al v. 12 sintetizza il desiderio profondo dell’orante: A contare perciò i nostri giorni insegnaci/e giungeremo a un cuore di sapienza  (trad. letterale). 

Per avere un quadro completo della portata di questo salmo vi invito a rileggerlo per intero, mentre qui riprendo gli aspetti essenziali per la finalità che mi propongo.

Il contesto suggerisce la precarietà della vita, resa viva dalla simbologia dell’erba che al mattino fiorisce e germoglia, alla sera appassisce e si secca (vv.5-6).

Questa affermazione, profondamente esperienziale, sostiene il contenuto di tutta la lirica e offre la motivazione profonda del perché il salmista grida a Dio il desiderio di poter contare i suoi giorni.

I rimandi alla teologia delle origini potrebbero fare balenare l’idea che la limitatezza della vita sia la conseguenza del peccato dell’uomo, ma il salmista ha esperienza diretta che la collera di Dio dura un istante, la sua bontà per tutta la vita (Sal 30,6).  Perché un istante?

La misura della bontà è più grande di quella della punizione: la sua misericordia dura per mille generazioni. E per tutto ciò l’uomo deve celebrare il nome del Signore.

Secondo la dottrina rabbinica, l’agire di Dio nel mondo è come regolato da due leggi o “misure”, di cui Egli decide di volta in volta il prevalere: la giustizia e la misericordia. Ma, in realtà, è quest’ultima ad avere il sopravvento, perché in caso contrario l’uomo e il creato non potrebbero sussistere al cospetto della santità divina.

Penso che il salmista faccia leva, com’è giusto che avvenga, sulla benevolenza divina che risolleva la fragilità umana e spirituale di ogni uomo, i cui anni  si sono consumati come un sospiro (v.9).

Da qui scaturisce una prima conclusione. Se manca la presa di coscienza della nostra situazione di debolezza, ci ritroveremo a pretendere che Dio si faccia nostro “socio” nel condurre una vita superlativa, impregnata dal virus del “super-uomo”.

Questa illusione non risparmia nessuno. Per gli uomini di Chiesa acquista un nome particolare, tante volte bandito da papa Francesco: carrierismo. Tutti dovremmo fare tesoro delle parole dell’apostolo Paolo: Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere (1 Cor 10,12).

Oggi più che mai è urgente e necessaria la richiesta al Signore di insegnarci a contare i nostri giorni, perché solo così potremo sapere quanto siamo fragili (Sal 39,5).

Contare i giorni” equivale a prendere costantemente coscienza dei propri limiti, del proprio destino che dovrà confrontarsi inesorabilmente con sorella morte.

L’esperienza insegna che “il tempo scorre irreparabile” (“fugit irreparabile tempus”, scriveva Virgilio) e porta dietro di sé il suo carico di vanità, eppure il credente è chiamato a colorare le sue giornate di quella sapienza che viene dall’alto, ingrediente che offre l’energia necessaria a cogliere Dio che ha fatto ogni cosa bella a suo tempo (Qo 3,11).

Cari amici,

vi esorto a gustare e vedere com’è buono il Signore (cfr. Sal 34,9) che non lascia mai l’uomo in balìa delle tenebre e della tristezza, fattori riconducibili a periodi difficili e, forse, contrassegnati dal tenersi lontani dalla comunità. Il processo conoscitivo- sperimentale dell’intelletto, indicato con le forme verbali “gustare” e “vedere”, risulterà compiuto in colui che si abbandonerà alla tenerezza del Padre: beato è l’uomo che in Lui si rifugia.

Il nostro tempo ritmato dal giorno e dalla notte, fin dalla creazione, diventi occasione per lodare Dio, Signore del tempo e dello spazio.  In quest’ottica, auguro a tutti di poter sperimentare che se alla sera è ospite il pianto, al mattino ecco la gioia (Sal 30,69).

                                                                                                                              p. Ettore

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