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Lettera maggio 2020

Carissimi,
dopo una lunga parentesi di chiusura forzata per il contenimento del famigerato Covid-19, abbiamo riaperto da pochi giorni la chiesa per riprendere, con prudenza e desiderio profondo, le celebrazioni eucaristiche. Il tempo intercorso fra l’ultima messa con il popolo (8 marzo) e la ripresa della celebrazione eucaristica (18 maggio) è stato un periodo nel quale ciascuno di noi ha avuto modo di riflettere con calma su alcuni passaggi vitali della propria esistenza, uno dei quali –inevitabilmente- si è costituito attorno al significato e alla risonanza che l’Eucaristia ha nella propria vita.

Da questa constatazione vorrei ripartire per ri-situare l’Eucaristia nel contesto dove la Chiesa deve ritrovare la sua unità. Si tratterà di una riflessione che si articolerà in più momenti. E per iniziare, penso che il taglio migliore nel quale collocare queste riflessioni non può essere che quello evangelico. Tale prospettiva in realtà ci si impone, leggendo gli ultimi discorsi del Signore con i suoi discepoli e che la Liturgia della Parola ci ha fatto ri-assaporare sostanzialmente durante le messe di queste ultime settimane.

L’ultima consegna che risuona in tutte queste pagine è: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13,34). Tale consegna rimanda obbligatoriamente al versetto successivo, criterio per riconoscere i discepoli di Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”. E per dare una lezione concreta ai suoi discepoli, Gesù mette dell’acqua in un recipiente, si cinge di un asciugatoio, s’inginocchia davanti a ciascuno e lava loro i piedi. Ed ecco cosa significa amare il prossimo: “Quello che ho fatto io, è perché lo facciate gli uni gli altri” (cfr. Gv 13,15).

E quindi dov’è l’Eucaristia? Sembra essere scomparsa, se non viene enunciata in questi versetti citati fin ora. Perché non è menzionata in questo contesto?

Perché essa è implicitamente contenuta nel “mandatum novum” (comandamento nuovo); è implicitamente contenuta nella consegna ultima del Signore “Amatevi gli uni gli altri”; è pure contenuta nella Lavanda dei piedi, perché si tratta delle stessa cosa.

Per convincerci, bisogna richiamare le parole “tragiche” di Gesù nel corso del discorso di addio: “…è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore” (Gv 16,7). Al di là della promessa del dono dello Spirito che Paul Claudel riformulava lapidariamente in “Vi tolgo il mio volto, vi dono il mio cuore”, si potrebbe avvertire una mezza confessione di fallimento, cioè tutto quello che il Maestro ha fatto soprattutto per i suoi discepoli non ha sortito alcun effetto, prova ne sia che si addormenteranno nel giardino dell’agonia, non comprenderanno il significato profondo della Lavanda dei piedi, non capiranno che il Regno di Dio è dentro di loro e gli domanderanno: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?” (At 1,6). Non hanno compreso alcunché. Non lo vedranno più davanti a loro, ma dentro di loro…e proprio così lo riconosceranno.

E paradossalmente – come ha sempre fatto – il Signore nell’Eucaristia ci orienta verso l’uomo. Gesù conosce tutte le imposture che si possono nascondere sotto il nome di Dio, dal momento che lui ne sarà vittima. E sa che l’uomo ha bisogni reali che lo spingono a staccarsi da se stesso per rinascere ed essere sempre disponibile all’amore di Dio che non manca mai. Ed è proprio attraverso l’umanità del Signore che la grazia ci viene comunicata; tale dono suscita la nostra intimità che si “consegna” alla prossimità del Cristo nel suo Corpo.

Gesù è sempre il compagno di Emmaus che cammina con noi e che è sempre presente nei segni della Parola e dell’Eucaristia, e noi tuttavia rifacciamo l’esperienza di quei due che “lo vedono fuori così come è dentro di loro” (S. Gregorio Magno) rivestendolo di tutti i loro limiti, “fabbricandolo” dentro se stessi secondo i propri orizzonti.

Il Signore però non permette questa falsa identificazione. Lui ci domanderà, per avvicinarci a Lui, per entrare cioè in contatto reale con la sua presenza che non manca, di fare di noi una presenza reale, una presenza universale, “cattolica”, senza frontiere… una presenza dove ogni uomo si sente accolto e dove l’universo trova il suo punto di appoggio per ripartire. E questo non può non coinvolgere tutta la comunità, che S. Ignazio di Antiochia chiamava “agape”, cioè amore.

È questo il senso dell’Eucaristia. È come se Gesù dicesse: voi non potrete venire a me che insieme. Voi non sarete abilitati a invocarmi se non formerete un solo corpo, il mio Corpo mistico.

Non esiste una liturgia vera e autentica che non coinvolga tutta l’umanità raccolta attorno alla mensa del Cristo, che porti questo peso di amore, che sia segno del rapporto di luce e carità fra la comunità e il suo Signore. È bene e doveroso ripetere, soprattutto, in questo contesto contrassegnato da dolorose e contradditorie decisioni circa la celebrazione eucaristica – ma che pur con tutti limiti avevano come finalità principale la riunione dei fedeli ed evitare almeno la diaspora – che la messa non è un rito magico che opera su un oggetto. Non ci sono liturgie o comunioni private, perché ciò non ha alcun senso. Non ci si comunica mai per se stessi: ci si comunica per gli altri e con gli altri.

La nostra umanità è in simbiosi con tutti gli individui della nostra specie. Ciascuno di noi ha per Dio la stessa importanza, è stato conquistato dalla stessa immolazione, beneficia della stessa redenzione, è purificato dallo stesso sangue di Cristo. Ciascuno deve realizzare in se il Regno di Dio, cioè il respiro universale della presenza divina che circola dagli uni agli altri come vita della nostra vita.

È bene ricordare che, cogliendo la sfida del “mandatum”, ci è chiesto pure di riunirci come fratelli attorno alla mensa del Signore, perché la sua Presenza divenga concretezza attraverso la realtà della nostra presenza.

Nel ricordarvi che riprenderò questo discorso nelle prossime lettere, vi auguro ogni bene perché il vento dello Spirito che ci prepariamo a vivere nella Solennità di Pentecoste spazzi via tutte le scorie della nostra vita spirituale.

p. Ettore

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