Lettera Novembre 2021
Carissimi,
sulla scia di quanto tratteggiato nella lettera del mese scorso, desidero approfondire ulteriormente le problematiche relative al mondo dei giovani, sullo sfondo delle provocazioni del “REPORT- Indagine sui giovani residenti nei comuni dell’Arcidiocesi”, pubblicato nello scorso mese di giugno.
In continuità con le battute finali del testo precedente, laddove auspicavo un “ascolto attento e paziente” rivolto alla sfera giovanile, vorrei far risuonare adesso i paradigmi legati alle nuove forme di religiosità con cui i ragazzi esprimono il loro rapporto con la fede e la Chiesa.
Stando all’indagine condotta in Diocesi (cfr. REPORT pp. 48-51), se da un lato una buona parte (il 55% circa) non lamenta alcun cambiamento nell’importanza attribuita alla fede nella propria vita, dall’altro emerge una notevole porzione di giovani che vive un peggioramento dovuto alla “perdita di fiducia nei confronti della Chiesa in sé e ancor più dei sacerdoti”.
La cosa più inquietante è che la mancanza di fiducia verso i preti è un dato in controtendenza rispetto alle figure istituzionali, verso le quali i giovani dicono di nutrire sentimenti di affidamento, garanzia e attesa propositiva. E mentre nel territorio della Diocesi emerge una certa fiducia in generale, anche nella Chiesa in astratto, la stessa viene meno “nelle figure più concrete e di relazione, quali i sacerdoti stessi”.
Mi soffermo a riflettere su questi dati per comprendere le eventuali cause di questo gap e le ricadute pastorali.
Al di là degli scandali perpetrati dai preti (non tutti!) collegati soprattutto alle questioni della pedofilia, questa mancanza di fiducia a mio modo di vedere ha una causa innata nell’errato approccio pastorale odierno: l’assenza di vere e autentiche relazioni tra il ministro della Chiesa e il popolo di Dio.
Mi chiedo se i preti (noi preti) si preoccupino (ci preoccupiamo) più del dettato dottrinale che di aiutare i giovani a scoprire non tanto se Dio esista o meno, quanto come stare in relazione con Lui.
Dalle numerose indagini svolte in Italia in questo ultimo decennio sui giovani, compresa quella diocesana, emerge un dato comune ad ogni ricerca: la maggioranza ama il progetto pastorale nel quale le figure di riferimento (i preti soprattutto) non annientino il loro desiderio di sentirsi parte attiva, cooperatori di un carisma, protagonisti nella missione, a cui si aggiunge la necessità che gli adulti siano capaci di relazionarsi con loro in modo aperto, rispettoso, trasparente e schietto.
Nello specifico, alle pagine 50 e 51 il REPORT non solo definisce, ma puntualizza e chiarisce questo status drammatico, che investe la parte fiorente della nostra società. Infatti, si evince che, mentre l’interesse rispetto alla fede dell’immediato passato abbia delle risposte positive, non si possa dire ugualmente circa il coinvolgimento a quelle proposte che derivino da organizzazioni religiose.
Penso sia necessario articolare alcune domande e tentare di formulare delle risposte convincenti e oneste.
- Se la Chiesa continua a mostrare unicamente il volto istituzionale e rigido, potrà mai germogliare una vita (e che vita?) in questo dinamismo ingessato, quando il tempo attuale corre su altri binari?
- Non c’è il rischio fondato che i tentativi di cambiamento si risolvano in un remake che, di fatto, mostra tutte le crepe iniziali e fa ripiombare al punto di partenza?
- E che dire del parere di “dotti e sapienti” che con cinica rassegnazione salutano con un “déjà vu” (“già visto”, cioè aria fritta) i tentativi di cambiamento?
Tento di rispondere globalmente, offrendo delle piste sulle quali con libertà e coraggio ognuno potrà avventurarsi. In concreto, penso che la parrocchia e l’oratorio siano i luoghi più idonei a fare respirare un clima di sane relazioni, quasi una continuazione, per valore e significato, delle relazioni “calde” che circolano nella famiglia di origine, prima, e in quella futura, poi.
Purtroppo, suddetti spazi spesso sono anonimi, freddi, impersonali ed i giovani non percepiscono di essere riconosciuti o di essere responsabilizzati nei vari progetti pastorali, al punto da non avvertire quel sentimento di appartenenza al luogo stesso, di non sentirlo proprio. E dire che loro sono sensibilissimi alle relazioni, fino al punto da ritenerle il senso della vita…
Invece si ritrovano a vivere un “clima di comunità” artefatto, che non riesce a coinvolgerli e tanto meno a farli sentire protagonisti, anzi questa mistificazione comunitaria fa avvertire loro un disagio e alla fine, in modo educato, li mette alla porta.
L’epilogo religioso di molti giovani è così contrassegnato dalla decisione di allontanarsi: prima dalla Chiesa e, poi, dalla fede. Tuttavia, proprio questi stessi giovani continuano, in contesti e spazi non ecclesiali, a tormentare con le loro domande la Chiesa e il tipo di spiritualità che essa propone, interpellando gli adulti laici che incontrano sul loro cammino, non ottenendo sempre risposte adeguate.
È, forse, fuori luogo la loro richiesta di un cristianesimo che ami la vita?
Di un Dio alleato del loro desiderio di una vita piena?
Ma davvero chi sei Tu per venirti dietro?
Venire dietro a Te che finirai sulla croce, nudo nel sangue?
Eppure, stiamo qui ad ascoltarlo, mentre ripete che Lui solo può colmare le profondità del cuore, il mare dei desideri: Io solo posso farti rintracciare la felicità. Io solo.
Al centro di tutto un Assoluto, che offre la sua luce sulla vita e sulla morte, che dona eternità a tutto ciò che di più bello portiamo nel cuore.
Il discepolo è uno che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande e la fede porta ad un’infinita passione per l’esistenza. Forse noi non siamo stati capaci di esser discepoli, ma solo esseri avari di affetti o esseri che credono di amare il cielo, ma non chi esercita un pensiero diverso dal nostro sulla terra.
Questo Gesù se non lo conosci non lo ami, ma se arrivi a conoscerlo non lo lasci più. Tutto il mondo è Vangelo! Per chi può capire, tutto il mondo è cielo, i giovani l’orizzonte, cielo e orizzonte di un solo Dio.
Anche loro avranno letto ed ascoltato qualche passo del Vangelo…
“Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).
Durante le ore di catechesi, avranno sicuramente sentito che “Dio passeggiava nel giardino” (Gn 3, 8) perché amico delle sue creature. Sanno, quindi, che l’Onnipotente è in cerca dell’uomo e della donna, con i quali stabilisce una relazione profonda e sincera di vera amicizia. Occorre riscoprire ed interiorizzare il sensus Ecclesiae, in quanto unione e collaborazione tra parroco e fedeli, centro propulsore attorno al quale deve ruotare una comunità viva e attiva, la cui preoccupazione non sia solo che il bene si faccia, ma che sia fatto bene.
Cari amici,
cogliamo l’esigenza dei giovani che diventa rifiuto a rimanere intrappolati nell’odierna cultura del narcisismo esasperante e percorriamo insieme un cammino di crescita relazionale.
Aiutiamoci e aiutiamoli, nello stesso tempo, a cogliere la preghiera come una vera e totale relazione con l’Altro. A vari livelli, siamo pur sempre educatori, ma ricordando sempre che l’educatore è come colui che coltiva il terreno, è un seminatore e non un mietitore. Gesù stesso ricordava agli Apostoli che andavano a raccogliere dove altri avevano seminato: la stagione della raccolta non coincide con la semina. Il seme affondato nel terreno sembra perduto per lungo tempo; però né le intemperie né l’inverno riescono a distruggerlo.
A suo tempo, germoglia, cresce e dà frutto.
Allo stesso modo, il seme sparso sovente con fatica, sonnecchia nel cuore dei ragazzi, ma finirà per spuntare fuori e dare frutto a suo tempo; e saranno proprio quelle parole veritiere, quegli esempi di una Chiesa attenta ed autentica, coerente al messaggio che annuncia e al mistero che celebra, a stimolare il ritorno.
Comincia l’Avvento ed è bello iniziarlo in una comunità che già nel suo nome, Adveniat, ne porta il suono e l’idea: attesa e speranza di qualcosa, di Qualcuno che deve venire. A noi è chiesto il coraggio di essere profeti che non spostano la speranza in un altrove, ma la fanno accadere nel presente.
Buon inizio di Anno Liturgico.
p. Ettore
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