Lettera maggio 2021
Carissimi,
all’inizio di questa lettera, è cosa buona e giusta anteporre una premessa di metodo e di contenuto.
Da questo mese, infatti, intendo articolare una riflessione in più tempi, di cui questa “puntata” rappresenta il primo momento che ruota attorno all’istituzione delle Unità Pastorali (da ora in poi U.N.) nella nostra diocesi. Dico subito che quanto leggerete è frutto della mia riflessione e della mia personale convinzione e non coinvolge altre persone o istituzioni.
Resta sempre aperta la possibilità del dialogo e del confronto, anche online, a condizione che gli interventi siano firmati per esteso.
Ormai da tempo l’Arcivescovo metropolita, Giovanni Accolla, va prospettando e proponendo in tutte le occasioni diocesane di incontro il tema delle U.P., supportato pure dalla rilettura socio-religiosa che l’Istituto IARD (e il cui report dovrebbe essere quanto prima pubblicato) ha condotto, due anni or sono, sul territorio e sulle condizioni socio-affettive- relazionali-religiose in esso contenute riguardanti l’intera diocesi che è in Messina – Lipari e Santa Lucia del Mela. Dall’indagine-riflessione dei dati oggettivi emersi affiora a chiare lettere la “dimensione marginale”, in cui versa la Chiesa di fronte alla società, dimensione dovuta in gran parte a quel “cambiamento epocale” che ha immesso nel postmoderno, secondo la lettura oculata fatta da Papa Francesco il 21 Dicembre del 2019 e ribadita da tutti i sociologi, i quali concordano nel dire, appunto, che la nostra civiltà è immersa nel “post-moderno”.
Il padre e pastore ha investito dell’argomento, procurando il materiale bibliografico basilare, gli organismi di partecipazione: consiglio episcopale, consiglio presbiterale, consiglio pastorale, direttori uffici pastorali curiali, per un lungo periodo e ora con stile sinodale chiamerà a raccolta i laici nelle assemblee previste in tutte le zone pastorali dell’intero territorio diocesano.
È mio intento, in questo primo momento, sottolineare le linee essenziali di quella che per larga parte del presbiterio potrebbe rappresentare una “rivoluzione copernicana”, mentre in realtà è solo l’attuazione, ritardata sì, delle indicazioni teologiche e pastorali del magistero stesso.
Da almeno venti anni, infatti, i vescovi italiani chiedono in modo sistematico e a grande voce (cfr. COMUNICARE IL VANGELO IN UN MONDO CHE CAMBIA. ORIENTAMENTI PASTORALI DELL’EPISCOPATO ITALIANO PER IL 1° DECENNIO DEL 2000, Roma 2001) di cogliere come presupposto dell’evangelizzazione i cambiamenti in atto nella società, fra i quali primeggia la “mobilità”. Proprio la mobilità è da intendersi e sul piano fisico-materiale e su quello sociologico. Infatti, secondo una prima lettura, ovvero quella di carattere prettamente fisico-materiale, la gente si sposta con più facilità rispetto a prima, non teme le distanze, sceglie di vivere in un contesto diverso e/o lontano dal luogo di origine, creando di fatto un nuovo spazio territoriale.
Da un punto di vista sociologico, l’avvento di Internet ha capovolto e/o stravolto il sistema relazionale, favorendo anche la creazione di un nuovo modo di comunicare e la fondazione di una comunità “virtuale”.
Tutto è diventato “mobile” con conseguenze significative sul significato educativo.
Le stesse relazioni sono sempre più “connesse” grazie ai social media, attraverso i quali comunichiamo e scambiamo opinioni sulla società e sul mondo. Pertanto, alla rivoluzione-trasformazione innescata dalla diffusione di Internet, a livello mondiale, si sono aggiunti – più di recente- il successo della tecnologia mobile e, parallelamente, la nascita dei social, che consentono di trasmettere pensieri ed emozioni attraverso messaggi scritti, vocali, immagini, canzoni e video.
Il sociologo Zygmunt Bauman afferma: “ogni nuova tecnologia che si affaccia all’orizzonte determina un guadagno e una perdita. Si perde qualcosa e si guadagna qualcosa. Dobbiamo semplicemente capire se in queste attuali tecnologie il guadagno giustifica le perdite”.
Insomma, la rete è divenuta una ragnatela planetaria, in cui quasi tutta l’umanità si trova intrappolata in ogni momento del giorno.
Da un’analisi globale si delinea la realtà locale, non lontana né esclusa dal cambiamento in atto. Nello specifico, la parte di territorio che personalmente conosco meglio, ovvero la zona ionica, in questi ultimi quaranta anni, ha assistito allo svuotamento dei centri collinari e al conseguente riempimento dei centri rivieraschi, ove si trovano tutte le strutture ed i servizi necessari: ogni ordine di scuole, sistema integrato di trasporti (pullman, treni, autostrada), centri medici polifunzionali, uffici postali e bancari, centri commerciali… insomma tutto ciò che risulti essere necessario per vivere al meglio nel nuovo contesto sociale.
Gli elementi, fin qui tratteggiati, hanno riguardato trasversalmente tutti gli ambiti della società, dalle aree urbanizzate a quelle meno abitate e, in un certo senso, hanno spinto i vescovi italiani a pubblicare, a pochi anni di distanza dal documento citato, la NOTA PASTORALE “IL VOLTO MISSIONARIO DELLE PARROCCHIE IN UN MONDO CHE CAMBIA” (2004), dove viene ribadito quanto Papa Giovanni Paolo II lucidamente aveva proposto ai parroci romani nell’incontro quaresimale del 1988: “la parrocchia cerchi se stessa fuori di se stessa”.
È lapalissiano che il filo conduttore, il comune denominatore di questi due documenti sia proprio l’accezione: “un mondo che cambia”, ovvero una società in mutamento, una mentalità in trasformazione. Da suddetta costatazione si genera spontaneo un quesito: il mondo cambia. E la Chiesa, la Parrocchia?
Se la Parrocchia, che conserva la sua ragion d’essere, vuole continuare la sua presenza sul territorio non può tralasciare di assumere, come luogo di evangelizzazione, le nuove trasformazioni dettate dal cambiamento, le quali da un lato delimitano (fortunatamente!) le esasperanti forme di religiosità campanilistica e dall’altro offrono la diversità e la varietà dei doni dello Spirito. In una battuta concisa: le U.P. esprimono la “cattolicità” del territorio, perché fanno trasparire la Chiesa, popolo santo di Dio, su un territorio costituito da più parrocchie, animate da un nuovo slancio missionario di clero e laici: missione condivisa su territorio di appartenenza!
È chiaro che il coinvolgimento dei laici non può essere marginale: non una ruota di scorta in caso di necessità, quanto piuttosto soggetti attivi, espressione di animazione delle realtà temporali e di promozione della ministerialità laicale, ovvero battezzati che mettono, attraverso il riconoscimento ecclesiale, i propri carismi al servizio della comunità.
A qualcuno, leggendo queste note, potrà sorgere un’inevitabile domanda: e della parrocchia “istituzione” che ne sarà, visto che nella “Millennio ineunte” Giovanni Paolo II scriveva che “la parrocchia è la misura alta” della vita cristiana? quasi a relativizzare di molto i più disparati gruppi ecclesiali che pensavano di avere il privilegio o complesso di superiorità rispetto alla parrocchia…
Rispondo a queste perplessità con quanto scritto dalla Pontificia Commissione per la Pastorale delle migrazioni che in “Chiesa e mobilità umana” del 1985, al n. 20 propone: “Nelle zone urbane, dove il senso della comunità e del vicinato a base geografica è ampiamente scomparso, la parrocchia è diventata un’associazione di tipo secondario, associativo. Forse l’ideale per la società parrocchiale sarebbe diventare di tipo comunitario…”.
Da qui nasce una sfida per tutte le parrocchie che, attraverso le U.P., vengono educate ad una progettualità comune, di largo respiro. È chiaro che in questa visione non trovano posto le rivalità, i primati, le contrapposizioni, le convergenze formali o occasionali fra parrocchie, talvolta benedetti e sponsorizzati dai relativi parroci.
Le U.P. sono lo spazio vitale, ove si incrociano rispetto e valorizzazione delle diversità che arricchiscono l’unità nella pastorale. Questi fattori vitali devono essere vagliati periodicamente e costantemente verificati nella loro intrinseca propulsione come motivazioni di crescita per le medesime comunità.
Concludo questo primo momento, invitando tutti a cogliere gli albori magisteriali delle U.P. che, a mio parere, possono essere rintracciati già negli scritti di Paolo VI, allorché nel Discorso al Convegno Europeo sulla Pastorale dei Migranti, datato 7 giugno 1964, invitava i responsabili a “non fermarsi sulle posizioni tradizionali, ma a cercare nuove forme pastorali”, poiché “alla mobilità del mondo moderno deve corrispondere la mobilità pastorale della Chiesa”.
Auguri di una serena ripresa della vita in ogni suo ambito,
p. Ettore
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