Lettera novembre 2020
Carissimi,
negli “Orientamenti per l’Anno pastorale 2020-2021” della Diocesi di Messina-Lipari-S. Lucia del Mela, si fa esplicito riferimento alla Laudato si’, quale sottofondo su cui si dovrebbe articolare l’azione pastorale della Chiesa peloritana.
Di certo, in qualità di responsabile della porzione della Chiesa, sita sulla costa ionica, essendo l’utenza a cui mi rivolgo sollecita all’ascolto, al dialogo e al confronto, dato il momento storico particolare e complesso che stiamo vivendo, non posso non riprendere quella provocazione insita nel sussidio diocesano, e, nel particolare, non soffermarmi sullo schema contenuto a pagina 9, ove si afferma che bisogna “abbandonare l’ansia di avere risultati nel breve periodo o nell’immediato”.
Pertanto, intendo condurre la mia riflessione, fissando l’attenzione e il punto di partenza in quella pagina evangelica, che – guarda caso – mette ben a fuoco il tema della “terra”.
Si tratta di Mc 4, 26-29: Gesù diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura».
Mi sembra particolarmente intrigante il testo che per descrivere il gesto del seminatore, usa il verbo greco “bàllô” (“gettare”) che ritroviamo anche nel termine “parabola”, che letteralmente possiamo tradurre con “gettare a lato di…”. Il parlare “in parabole” in un certo senso riproduce l’attività del seminatore gettando nello spirito e nel cuore i semi del Regno, parole chiamate a fiorire e a portare frutti di gioia e di pace. Il legame con lo spirito della Laudato si’ è fin troppo evidente.
Il Regno è paragonato da Gesù a “un uomo” (ma potremmo dire “un umano”, dal momento che “ànthrôpos” in greco designa bene sia l’uomo che la donna) che dona forma alla “parabola”, attraverso il gesto del “gettare il seme”.
“Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa”. È implicito che, dopo aver fatto il suo lavoro, l’essere umano se ne va a dormire “il sonno dei giusti”; né più né meno lo stesso gesto di Dio dopo la creazione, che riposa nel giorno di “sabato” accordando una certa benedizione al riposo.
Qui abbiamo una nota importante da sottolineare: gettare il seme non implica in alcun modo il padroneggiarne la fecondità e la crescita.
Il Libro della Genesi racconta che perfino Dio, nell’atto della creazione, ha messo un limite alla sua potenza, lasciando che il creato si concludesse nel tempo. Lo stesso invito è rivolto a ogni uomo e, in particolare, ai cristiani, ovvero quello di voler arrestare ogni potere, di lasciare che la sua vita e quella degli altri possa crescere in pace, come suggerisce il Salmo 127,2: “Invano vi alzate di buon mattino/, tardi andate a riposare/ e mangiate pane di sudore:/ il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno”.
Attenzione, però, che né questo salmo, né la parabola del seme che cresce, invitano alla pigrizia o all’accidia…non si tratta di incrociare le braccia e attendere che qualcosa arrivi dall’alto, perché il centro del messaggio rimarca che solo il seme che spunta dalle profondità della terra germoglia e porta frutto. Senza questa azione preliminare e fondamentale, non vi sarà alcuna messe. Viene, quindi, ribadito che la crescita della semente è fuori portata del controllo umano: “il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa”.
Il passo successivo – che conferma tale ipotesi – è strettamente legato alla Scrittura, ove si dice che Dio non dà la piena conoscenza all’essere umano per evitargli di padroneggiare qualcosa o qualcuno. Prova ne sia che i nostri progenitori soccombono alla proposta del serpente perché si lasciano abbindolare dalle false parole del tentatore che fa loro credere che non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male significava essere esclusi dalla conoscenza di un Dio geloso delle sue prerogative.
Purtroppo, ancora oggi, abbondano persone con la pretesa di conoscere tutto…
Che grande lezione ne deriva a noi, uomini super tecnologici! La conoscenza delle cose – e soprattutto delle persone – deve restare “sabbatica”, aperta, non malata o satura. Per cogliere la portata di questa affermazione, basta rifarsi all’esperienza della vita. Noi amiamo conoscere (ed è un bene), ma per quanto possiamo sforzarci, tocchiamo con mano che le relazioni non resistono all’esigenza del sapere tutto…
Le persone a noi più vicine appartengono nella loro profonda identità al mistero che è la loro sorgente. L’amore richiede la conoscenza ma, a un certo punto, comprendiamo che è bene ritirarci e lasciare che i nostri cari dimorino nella loro libertà.
Per spiegare questa intrigante dinamica ci viene in aiuto la parabola sopra riportata: i nostri congiunti, i bambini, i nostri amici, …, germogliano e crescono; come, noi stessi non lo sappiamo.
Di questa realtà dobbiamo averne piena coscienza per vivere in comunione profonda fra noi e in armonia con il creato.
p. Ettore
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