Lettera marzo 2020
Carissimi,
scrivo questa prima lettera in un momento particolarmente difficile a causa della pandemia del Coronavirus che obbliga a restare a casa e a “sentirci” tramite il collegamento virtuale di internet.
Non vi nascondo che per me è un’esperienza bruciante dover celebrare a porte chiuse e senza popolo e dover ripetere a ogni messa che il corpo e il sangue di Gesù sono offerti “per voi (?) e per tutti…”.
È vero: ci troviamo in una situazione di emergenza che speriamo finisca presto; è altrettanto vero che questa forma di “clausura indotta” ci obbliga in un certo senso a rimodulare e riscoprire il valore della nostra casa, al di là della sua superficie e collocazione.
I muri entro i quali ci muoviamo diventano vieppiù un’esperienza esistenziale e un’occasione privilegiata di crescita e condivisione nel volersi sempre più bene, partendo dalle differenze che arricchiscono la vita di tutti i membri della famiglia.
Attorno alla metafora della casa vorrei, quindi, articolare una breve riflessione che possa aiutare tutti a “crescere in sapienza (i giovani) in età (i più piccoli) e grazia (gli adulti)” (cfr. Lc 2,52).
La casa è fatta di persone che stando una accanto all’altra imparano a volersi bene e – soprattutto in questi giorni – sono chiamate a smussare gli spigoli del proprio carattere per rendere più armonica la vita in comune.
Un momento importante è costituito dalla condivisione del cibo, segno concreto della dimensione conviviale della famiglia che ringrazia Dio per i suoi doni.
Nel periodo in cui in tutte le salse vediamo e sentiamo lo slogan “io resto a casa”, tutti facciamo esperienza della responsabilità attiva nei confronti della salute dei vicini e dei lontani, in una parola…del nostro Paese, così duramente provato.
La restrizione domestica o, come alcuni amano dire, “gli arresti domiciliari”, oppure il “confino” sottolineano alcuni passaggi significativi ai quali prima si dava poca importanza.
Adesso abbiamo maggiore opportunità di pregare, leggere, studiare, meditare, vedere qualche programma interessante in TV, avventurarci nella preparazione di qualche ricetta culinaria impegnativa, fare dei piccoli lavoretti per rendere la casa più accogliente…
Sono certo che nessuno stia sciupando questa “sorpresa” del Signore, quasi un regalo di Pasqua.
In questi giorni di particolare disagio ho pensato molto ad alcuni momenti tipici della nostra giornata: il mezzogiorno, la sera, la notte e l’aurora, tutti vissuti in casa.
Il primo ricorda Gesù che, nel momento in cui il sole è allo zenit, stanco per il viaggio e assetato, incontra la Samaritana al pozzo di Giacobbe (cfr. Gv 4). Il mezzodì diventa un’occasione propizia per attingere al pozzo delle nostre riserve umane e spirituali e far zampillare l’acqua viva del desiderio di condividere le cose belle, degne di chi sa di essere amato da Dio…
Il secondo momento (la sera), spesso è contrassegnato dalla malinconia e dallo smarrimento, mi ricorda la supplica dei due discepoli di Emmaus (Lc 24,29): “Resta con noi Signore, perché (senza di te) scende la sera”. Questo grido di supplica contraddistingue anche l’inizio della bellissima omelia di papa Francesco in piazza S. Pietro la sera del 27 marzo scorso: “Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze…”.
E arriva così la notte quando, in comunione con tutti i malati di Covid 19, le persone ristrette in quarantena e tutte quelle che a vario titolo si dedicano alla cura di questi, diviene normale pregare e consegnare nelle mani di Dio tutti costoro.
Ci si addormenta attendendo l’aurora, metafora del “giorno primo ed ultimo” (inno alle Lodi della domenica, prima settimana del salterio), per cantare la misericordia di Dio e sperimentare che nella tempesta il Signore è stato nostro rifugio…
Spero di poter mantenere l’impegno di scrivere ogni mese, certo non per fare il maestro, quanto per condividere con voi le provocazioni della Parola.
Auguri di ogni bene nel Signore.
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